Il raggiungimento dei requisiti necessari a ottenere la pensione non determina sempre per il lavoratore il collocamento in quiescenza. Ciò accade solo per i dipendenti privati. Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, essi non sono obbligati ad andare in pensione al raggiungimento dei 67 anni di età; la normativa vigente concede di proseguire anche oltre tale limite (fatta salva la possibilità di riprendere a lavorare dopo la pensione e di cumulare l’assegno pensionistico con i redditi da lavoro) fino al raggiungimento di un requisito anagrafico in corrispondenza del quale scatta invece il pensionamento forzato. In linea di massima, per i lavoratori del settore privato, tale soglia è pari ai 71 anni. Resta inteso l’accordo del datore di lavoro che, al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia, può comunque imporre al proprio dipendente il licenziamento per sopraggiunti limiti di età.
Diverse sono invece le regole nel settore pubblico, e dunque anche per i dipendenti regionali; per essi, al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia scatta la cessazione del servizio e la pensione. Oltre tale data, il rapporto non può protrarsi se non, in via eccezionale, nel caso in cui il dipendente regionale non abbia ancora perfezionato il requisito contributivo minimo (20 anni di contributi versati). Va d’altra parte precisato che spesso per le pubbliche amministrazioni scatta ancor prima il cosiddetto pensionamento d’ufficio, al raggiungimento del cosiddetto limite ordinamentale (in atto, al raggiungimento dei 65 anni). Ciò avviene quando il lavoratore, a tale età, abbia maturato un qualsiasi diritto alla pensione (quota 100 comunque esclusa); diversamente, il rapporto di lavoro prosegue fino al soddisfacimento dei requisiti necessari per la pensione di vecchiaia e in ipotesi anche fino al 70^ anno d’età.